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    • 2023-06-14 00:00:00

    Clima, inquinamento e società mettono a rischio la fertilità globale

    L’infertilità nel mondo
    Secondo il documento dell’agenzia – prodotto a partire da una metanalisi che ha esaminato 133 studi provenienti da tutto il mondo, condotti tra il 1990 e il 2021 – il problema colpisce circa il 17,5% della popolazione adulta. Dati allarmanti che secondo Antonino Guglielmino, presidente della Società italiana di riproduzione umana (Siru) potrebbero essere sottostimati: “La stragrande maggioranza dei lavori (109) analizza esclusivamente l’infertilità delle donne. Sono pochi quelli che esaminano uomini o coppie nel loro insieme”.
    Nel dettaglio dai risultati emerge una distribuzione variegata del fenomeno, con il Mediterraneo orientale, un’area che comprende il Medio Oriente e il Nord Africa, che ha registrato il tasso di infertilità globale più basso, di appena il 10,7%. Mentre la zona del Pacifico occidentale, di cui fanno parte Cina, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, detiene il primato con il 23,2%: quasi un quarto della popolazione. Seguono le Americhe, una regione che include gli Stati Uniti, il cui tasso di infertilità si attesta intorno al 20%, uno su cinque, e l’Europa e di conseguenza Italia, che si trova nel mezzo con un tasso pari al 16,5%, circa una persona su sei.

    Studi non accurati
    Difficile capire il motivo di tale variabilità. Gugliemino come Alberto Ferlin, professore ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Padova, tiene però a precisare che i dati epidemiologici sono estrapolati da studi che in alcune zone del mondo sono meno accurati. “In alcuni Paesi soprattutto in Africa, Asia e Sudamerica non esistono registri e dati epidemiologici forti come negli Stati Uniti e Europa e le stime sono meno attendibili”, aggiunge Ferlin. La stessa Oms evidenzia una persistente mancanza di dati sull’infertilità in molte regioni ed esorta i paesi a produrne ulteriori a livello nazionale, disaggregati per età e cause.

    Problema solo sociale?
    Un grosso limite attuale è infatti l’assenza di dati suddivisi in base alle fasce di età che potrebbero aiutare a capire se il fenomeno è in aumento solo per motivi sociali o anche biologici, che possono riguardare anche i più giovani. Spiega Ferlin: “La difficoltà è capire se c’è un aumento delle cause di infertilità o se effettivamente c’è solo un aumento di coppie che non hanno figli e si rivolgono ai centri di fecondazione assistita perché li cercano in un’età sempre più avanzata. Il che riduce le probabilità di gravidanza e anche il numero di figli per coppia”.
    Gli esperti concordano sulla prevalenza del problema sociale, su cui però se ne innesca un altro legato alla diminuzione della capacità riproduttiva dell’essere umano dovuto a svariati motivi. Commenta Gugliemino: Tra stili di vita, inquinamento ambientale e aumento dell’età del progetto genitoriale si sta creando una situazione in cui la difficoltà riproduttiva è reale. Questo spiega perché siamo a 1,2 punti di natalità, ben sotto la soglia di sostituzione demografica di 2,1”.
    L’inquinamento ambientale
    Anche il report dell’Oms che non ha esaminato le cause dell’infertilità, sottolinea la necessità di farlo con studi più approfonditi. Ferlin ammette però che soprattutto l’infertilità maschile – sua area di interesse e per la quale sono disponibili più dati – può essere in realtà considerata in aumento anche tra i più giovani, per effetto di inquinamento e cambiamenti climatici. “Ci sono più dati – afferma – semplicemente perché è più semplice avere marcatori di fertilità nell’uomo: come l’esame del liquido seminale e della motilità e vitalità degli spermatozoi. Questo fa sì che oggi in letteratura ci siano molti più studi, anche solidi, che per esempio mostrano l’effetto dell’inquinamento sui parametri seminali, rispetto alla fertilità della donna più difficile da valutare”.

    Gli interferenti endocrini
    L’impatto più dirompente è quello degli inquinanti ambientali assunti con alimentazione, respirazione o anche tramite contatto con la pelle, che passano la placenta e incidono sul potenziale di fertilità del bambino ancora in utero, che diventerà uomo. Si tratta nello specifico dei cosiddetti interferenti o distruttori endocrini, sostanze simili agli ormoni naturali, che ne contrastano l’azione e durante la gravidanza alterano lo sviluppo dell’apparato riproduttivo.

    “Su di essi gli studi abbondano negli uomini”, chiarisce Ferlin. “Questo effetto si vede peraltro con altre patologie maschili che sono in aumento come il criptorchidismo, la mancata discesa dei testicoli alla nascita, l’ipospadia (un’anomalia anatomica del pene) e il tumore del testicolo. Sono tutti segni di un malfunzionamento prenatale dei testicoli. Sicuramente gli interferenti endocrini hanno un effetto anche sulle donne ma è più difficile valutarlo, sia dal punto clinico sia di marcatori di funzione delle ovaie”.

    Rischio estinzione?
    Nella stessa direzione vanno gli studi di Luigi Montano, uroandrologo della Asl di Salerno e past president della Siru, che ha coordinato il progetto di ricerca EcoFoodFertility dal quale sono emerse evidenze della presenza di diversi contaminanti ambientali nel liquido seminale.
    “In un nuovo studio, in corso di pubblicazione – ha raccontato alla vigilia del suo intervento agli Stati generali della Fertilità, tenutosi a maggio a Roma – abbiamo rilevato la presenza di microplastiche nel liquido seminale. Un’ulteriore prova di quanto profondamente siamo inquinati e quanto i contaminanti emergenti come i residui della plastica possono minacciare il sistema riproduttivo. Siamo arrivati a un punto critico, tanto che – se il trend del numero e soprattutto della qualità spermatica continuerà la pericolosa discesa rilevata da diversi studi – l’ipotesi dell’estinzione entro il 2070 della nostra specie per infertilità maschile irreversibile non sarà affatto da scartare”.

    Concentrazione di spermatozoi dimezzata
    Stando infatti a una metanalisi del novembre 2022 pubblicata su Human Reproduction Update negli ultimi 46 anni, dal 1973 al 2018, la concentrazione degli spermatozoi a livello globale è più che dimezzata (51.6%), con un’accelerazione della perdita di spermatozoi per anno raddoppiata dal 2000 al 2018 rispetto al periodo 19732000. Ciò che più preoccupa è il calo rapido che è avvenuto e sta avvenendo in paesi una volta ritenuti ad alta fecondità, come Africa, Brasile, India, Cina, tutti paesi che negli ultimi due-tre decenni stanno registrando importanti tassi di inquinamento ambientale e importanti modifiche degli stili di vita della popolazione residente.
    In generale come ricorda la Siru in una nota, dai 35 anni in su, i danni accumulati per via di inquinamento atmosferico, elettromagnetico e stili di vita, possono impedire il concepimento o aumentare le probabilità di trasmettere ai figli difetti genetici ed epigenetici che favoriscono patologie nell’infanzia, nell’età adulta e addirittura alle successive generazioni.

    Il cambiamento climatico
    C’è poi il tema del cambiamento climatico. La funzione del testicolo è sensibile al caldo ambientale, motivo per cui la sua posizione anatomica e l’architettura dei tessuti sono ottimizzate per garantire una temperatura complessiva dello scroto di 2°4°C inferiore alla temperatura corporea interna. Una review pubblicata lo scorso gennaio su Frontiers in Cell and Developmental Biology a firma del gruppo di ricerca di Ferlin (Global warming and testis function: A challenging crosstalk in an equally challenging environmental scenario) ha riassunto una grande quantità di prove che dimostrano gli effetti dannosi dello stress termico acuto sulla funzione testicolare, in particolare sul processo spermatogenetico e steroidogenetico, sia nei modelli animali che umani. Effetti per la maggior parte reversibili.
    Gli autori precisano però che al momento mancano evidenze che possano supportare un nesso causale tra la progressiva riduzione della natalità globale, il peggioramento dei parametri seminali e l’aumento della temperatura ambientale. Ma che proprio la stima dell’impatto della temperatura ambientale sulla salute è la sfida futura per gli scienziati.

    Stili di vita
    Non meno importante per la fertilità di entrambi i sessi è lo stile di vita. Fumo, alcol, uso di droghe, scarsa attività fisica, dieta, obesità e sovrappeso – un problema che interessa sempre più anche i giovani – infezioni sessualmente trasmesse (e naturalmente l’età) sono tutti fattori di rischio evitabili che hanno un peso sul fenomeno e “sono tutti in aumento” fa notare Ferlin che aggiunge:
    “Poi tra le cause di infertilità ci sono le patologie specifiche dell’apparato riproduttivo. Quindi – continua – per l’uomo il varicocele e andando più nello specifico alterazioni ormonali o infiammazioni e infezioni delle vie riproduttive. Ma anche alcune patologie sistemiche, come il diabete, le patologie cardiovascolari, epatiche e naturalmente le oncologiche, possono coinvolgere la funzione dei testicoli. Nella donna tra le principali cause vi è l’endometriosi, la disfunzione delle ovaie come la sindrome dell’ovaio policistico (Pcos), tutte le alterazioni del ciclo ovarico e quelle morfologiche dell’utero come i fibromi e così via”.

    Mancano linee guida e Pdta
    Va poi considerato che con l’aumentare dell’età non solo si riduce la fertilità – perché per esempio diminuisce il numero e la qualità degli ovociti nelle donne – ma aumentano anche le probabilità di sviluppare nuove patologie, mentre si lascia il tempo ad altre già presenti di danneggiare gli organi.
    L’endometriosi per esempio ha un impatto diverso nelle donne giovani e adulte, come afferma Guglielmino: “In queste ultime la malattia è andata avanti modificando e danneggiando il sistema riproduttore. Oggi – continua – l’età media delle donne che ricorrono ai centri di riproduzione medicalmente assistita è 36.7, quattro anni oltre la media ottimale. Recuperare questo tempo significa anticipare diagnosi e cura con possibilità maggiori di successo”.
    “Il problema però – continua – è che in Italia mancano completamente una programmazione e Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta). La Siru già nel 2021 ha presentato una serie di linee guida sulla procreazione medicalmente assistita (Pma) riguardanti la prevenzione e l’informazione della coppia – un adattamento italiano di quelle redatte dal National Institute for Health and Care Excellence (Nice) britannico – ma siamo ancora in attesa che vengano recepite”.

    Tempo prezioso
    Al momento quindi nel Paese è completamente assente un’organizzazione che guidi le persone lungo il percorso della cura dell’infertilità facendo loro risparmiare tempo prezioso. Secondo Guglielmino l’iter dovrebbe partire dal medico di medicina generale e dagli specialisti del consultorio cui tocca il compito di un primo indirizzo e di informare la coppia sui passi da compiere.

    La Siru spiega anche che da tempo gli operatori della Pma attendono una risposta da parte del ministero della Salute sulle linee guida. Queste se trovassero applicazione nei livelli essenziali di assistenza (Lea) potrebbero permettere di lavorare anche sui Pdta, che hanno lo scopo di uniformare l’approccio clinico a determinate categorie di pazienti e di raccordare tutte le fasi di diagnosi, cura, assistenza e riabilitazione.

    Non solo Pma
    Sull’assenza di informazioni e consapevolezza da parte della popolazione è d’accordo anche Ferlin, che ricorda come l’infertilità possa essere curata rivolgendosi agli specialisti appropriati, ma la tendenza è di recarsi direttamente nei centri per la Pma. Spiega l’endocrinologo: “È sbagliato pensare che l’unica soluzione per l’infertilità sia la fecondazione assistita. Basti pensare alle cause già accennate in precedenza per capire che molte di queste possono essere eliminate o risolte con terapie in grado di migliorare il potenziale di fertilità. Serve un approccio graduale e il primo obiettivo degli specialisti, se possibile, è ripristinare la fertilità naturale. Se non è possibile si ricorre alla Pma”.

    Accesso equo alle cure
    Favorire ed estendere l’accesso alle cure per la fertilità, a prezzi accessibili e di alta qualità per coloro che ne hanno bisogno, in ogni angolo del Globo è in definitiva l’appello che l’Oms lancia ai governi. Nonostante l’entità del problema infatti, le soluzioni per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento dell’infertilità, comprese le tecnologie di riproduzione assistita come la fecondazione in vitro, rimangono sotto finanziate e spesso inaccessibili a molti, a causa dei costi elevati, dello stigma sociale e della disponibilità limitata, come sottolinea l’Oms. Nella maggior parte dei Paesi, i trattamenti sono in gran parte pagati direttamente dai pazienti e spesso comportano spese esorbitanti. Soprattutto nei Paesi più poveri dove le persone spendono in cure una percentuale maggiore del loro reddito rispetto alle persone che vivono in aree più ricche.

    La situazione italiana
    Non va meglio in Italia dove l’accesso ai trattamenti non viene garantito a tutti coloro che non possono concepire un figlio, a causa delle disparità regionali. Conclude Guglielmino: “Nelle Regioni italiane in cui l’accesso alla riproduzione medicalmente assistita è sostenuta dal Servizio sanitario regionale (come Toscana e Lombardia) abbiamo punte di bambini nati con la Pma anche del 7%, mentre in quelle in cui è la prestazione è a pagamento non superano l’1,51,6%”.

    “Di recente il Governo ha finalmente riconosciuto la riproduzione medicalmente assistita all’interno dei Livelli essenziali di assistenza – in cui era già inserita dal 2017 ma di fatto non era mai stata attivata – garantendo così, dal primo gennaio 2024, l’accesso a sei trattamenti di fecondazione omologa e sei trattamenti di eterologa a carico del Ssn, per le coppie fino a 46 anni che non possono avere figli. Ci saranno finalmente i fondi, ma ora spetta alle Regioni organizzarsi per fare in modo di garantire a tutti l’accesso al trattamento”.

    Tag: cambiamenti climatici / fecondazione assistita / infertilità / inquinamento ambientale / interferenti endocrini / Oms / Pma / sterilita /